01/02/2018
DST: Il Sistema Periodico
Un duo di jazz cameristico, piuttosto libero e sostanzialmente paritetico, che vede in scena due giovani musicisti entrambi impegnati a suonare legni—clarinetto e clarone Alberto Collodel, contrabbasso Simone Di Benedetto -ovvero strumenti dal suono scuro, materico, suggestivo. Questo ciò che sta alla base del suono di Il sistema periodico, il quale però -come testimonia il suo titolo -nella sua costruzione complessiva mette a frutto anche stimoli extramusicali, provenienti dall’omonimo libro di Primo Levi.
Le ragioni della scelta di quel testo come ispirazione di un disco di jazz, ancorché in equilibrio -come spesso accade -sul confine della musica contemporanea, paiono essere di due tipi diversi: da un lato per l’aspetto narrativo, confermato dal clima del lavoro, intimo, riflessivo, oscuro ancorché non drammatico, qual era lo spirito dello scrittore torinese; dall’altro per quello simbolico della struttura, perché ciascuno dei racconti di quel libro era ispirato da un elemento della tavola periodica, cosa che avviene anche qui per gran parte dei brani, così da lasciare i musicisti liberi da strutture troppo determinate, ma fornendo un vincolo ideale a far loro da guida.
Senza entrare nel merito del rapporto tra queste ispirazioni e la musica -cosa su cui solo i musicisti potrebbero esprimersi -e rimanendo solo a quest’ultima, va in primo luogo apprezzato il modo in cui entrambi i protagonisti lavorano sui rispettivi strumenti, esplorandone senza artifici le possibilità sonore e producendo, con grande interazione, un discorso narrativo articolato e vario, sempre fruibile nonostante l’assenza di materiali tematici lineari.
Le forme dialogiche che i due sviluppano sono varie e un buon esempio è l’incipit di “Idrogeno,” nel quale -entro un procedere scoppiettante -si alternano momenti di unisono, relazioni più complementari e vere e proprie contrapposizioni, in presenza inoltre di forme espressive diverse -Di Benedetto alterna pizzicato, percussione e archetto, Collodel linee semplici, ora prolungate ora frammentarie, a colpi e vibrazioni d’ancia. Modalità che, al variare degli impasti, caratterizzano l’intero lavoro, e che cotribuiscono a esaltare l’eccellente colore dei suoni.
Escono dal “progetto” legato a Levi i brani d’apertura e di chiusura, che rimangono comunque pienamente coerenti al resto dell’album. Il primo, “Landscape #1,” è firmato ad Di Benedetto e ha un andamento forse più lineare degli altri; l’altro, “110A,” è invece di Anthony Braxton -e questo ci dice molto sulla progettualità musicale dei due giovani protagonisti.
CD suggestivo, eccellentemente realizzato, da ascoltare con molta attenzione.
Fonte: AllAboutJazz